Villacella

di Sandro Sbarbaro
fotografie di Sandro Sbarbaro

Villacella

Proseguendo oltre la Cappelletta si giunge in vista di Villa Cella, uno dei centri più importanti che il monachesimo benedettino abbia espresso in Val d'Aveto e - azzardiamo - in senso assoluto nel comprensorio della riviera di levante [nota: quando si riuscirà ad analizzare nuove carte attualmente sono disperse nei vari archivi, ed in particolare quelle dell'Archivio di Stato di Genova che giacciono sotto la denominazione generica di "Notai Antichi", si avrà un quadro abbastanza completo dell'accaduto].

Il cenobio di Villa Cella, già denominato "S. Michaelis de Petra Martina" nell'atto di fondazione risalente al 1103, forse per far riferimento ad un primo rudimentale insediamento situato nei pressi della omonima Rocca di Pietramartina, fu certamente un centro di notevole interesse civile e culturale, oltre che religioso.

Legato già dalla metà del XII secolo all'influente "Comitato Fliscano" (occorre ricordare che il primo abate dell'Abbazia di Borzone fu un certo Bernardo della Cella nel 1184, e che probabilmente Manfredo abate di S. Michele di Pietramartina nel 1162 altri non era, secondo Alfredo G. Remedi, colui che diventerà più tardi il cardinale Manfredo da Lavagna), il monastero intorno al 1250 entra in crisi per le lotte di potere fra i monaci di Alpepiana fedeli a S. Pietro in Ciel d'Oro a Pavia e il "Clericus Magistro Armano de Sanguineto", altre volte detto "Armano clerico de Melleto Januensis diocesis", il quale aveva intentato una causa per il possesso della plebe di Alpepiana.

I monaci di Villa Cella, secondo Guglielmo abate di Alpepiana, avevano nel frangente eletto il loro abate senza chiederne conferma ad Alpepiana, dalla quale formalmente la Cella di Pietramartina dipendeva (così M. Tosi).
Condannato Armano de Melleto, si indebolisce il prestigio in campo religioso di Pietramartina che entra, sempre più, nell'orbita Fliscana e probabilmente nell'esercizio del potere temporale in combutta con i da Meleto - Della Cella.
Occorre rammentare che il Conte Alberto Fieschi di Lavagna inizia proprio nel 1250 a chiedere sommessamente "permesso di pascolo" in Val d'Aveto a Corrado Malaspina, portando così avanti una manovra ben congegnata di infiltramento sul territorio.

Di quel periodo rimangono sul territorio di Villa Cella alcune tracce: il vecchio e abbandonato Mulino, che si dice sorto sulle fondamenta della Cella monastica, alcune vestigia di case che un dì forse appartennero alla "corte monastica" e il pozzo di raccolta a forma triangolare per l'acqua del mulino che si immette in un sottostante pozzetto di forma circolare con la relativa canalizzazione scavata sui fianchi del monte.

Una casa che recava una scritta riguardante S. Pietro in Ciel d'Oro è stata malauguratamente abbattuta da pochi anni e non si sa che fine abbia fatto il portale così prezioso.
Le vecchie campane del monastero, come ben si sa, furono fuse nel 1852 per rifare le nuove che oggi si trovano nelle torre campanaria dell'attuale Chiesa di San Lorenzo.

Il calice in argento appartenuto forse al monastero e chiamato "Il Calice dell'Abate", fu venduto nel 1854.
Pare dunque che il Monastero di Villa Cella abbia seguito la "parabola Fliscana" e con essa si sia avviato al tramonto, colpito dalla stessa "maledizione".
Villa Cella fu comunque un importante nodo viario per tutto il medio evo; le antiche strade che dalla Val di Sturla immettevano in Val d'Aveto attraverso il "Passo delle Rocche" (o "di Bisinella") transitavano, prima del prosciugamento del Lago della piana di Cabanne, in direzione Villa Cella - Costafigara - Rezzoaglio.

Villacella

Qui i monaci eressero la loro "Cella" per esser di conforto ai pellegrini che si avventuravano su queste non facili strade, qui impartirono le prime lezioni del viver civile agli abitanti di queste plaghe, qui pregarono, amarono, forse odiarono.
A qualche chilometro dal "Passo delle Rocche" c'è la "Cappelletta delle Lame", posta sulla strada di crinale che certamente nella buona stagione veniva sfruttata dai pellegrini per giungere (dopo aver transitato per ii "Passo della Gonnella" e quello di "Pre de Lame") verso il "Passo dell' Incisa" nei cui pressi, in località "La Scaletta", vi era uno "Hospitale" benedettino che assisteva chi giungeva da Val di Taro.

La Valle dell'Aveto, dunque, è stata sinora una miniera a cielo aperto ove è possibile imbattersi in tesori appena intristiti dal tempo... ma occorre fare presto: "la salvaguardia di questo patrimonio, che è di tutti, è spesso avversata da cumuli di buone intenzioni".

 

Casa del Bottazzo

Lungo l'Aveto, sulla strada che intorno al 1600 - 1800 doveva esser stata quella di fondovalle, poco lontano da Rocca Martina si trovano, ahimè, i ruderi della cosiddetta "Casa del Bottazzo".
Anticamente doveva esser stata una "Casa di posta o cambio" (anche se l'appellativo "Bottazzo" ricorda un antico mulino), una specie di osteria - rifugio dove avveniva lo scambio dei cavalli e dei muli tra i vetturini che compivano lunghi viaggi fra Genova e i territori della pianura Padana.
Probabilmente era anche una specie di dogana o "punto atto a scotere il dazio": ne fa fede ciò che rimane di una garitta posta sul lato in direzione di Costafigara.
Ai primi del XX secolo era stata abitata da un pittore chiamato "il prete matto", il quale si diceva avesse dipinto la famosa etichetta del Fernet Branca.

 

Balena del Masapello

Proseguendo sulla strada provinciale si giunge al luogo ove si scorge la famosa "Balena del Masapello", un roccione dipinto nei cui pressi esisteva l'antico sbarramento sull'Aveto che aveva trasformato la piana di Cabanne in lago - palude.

Balena del Masapello

Qui i monaci di Villacella, secondo quanto riporta la tradizione, operarono instancabili per tagliare le rocce e far defluire le acque: una scala intagliata nella roccia confermerebbe tale ipotesi.
Poco distante è il sito del "Castelluzzo dei da Meleto" e poco discosto è l'attuale bivio per Villa Cella proprio di fronte ad una Cappelletta votiva eretta da certi Cella.

 

Mulino di Cabanne

A lato, presso il rivo che giunge da Villa Cella, vi sono i resti di un antico Mulino che era gestito ancor nel '900 da una famiglia di Farfanosa, e penso debba trattarsi dell'antico "Mulino di Cabanne" citato in atti tardo seicenteschi dal notaio Nicolò Repetto ed andato all'asta (col rito "sino a consunzione della candela") in locazione ad un certo Merlo di Cabanne (il toponimo "Ca' de Merli" in Cabanne confermerebbe tale ipotesi).

 

Cappelletta della Madonna dell'Alpe

Salendo verso Villa Cella si incontra la "Cappelletta dell'Arpe" costruita, secondo il G. Fontana, alla metà del 1800 sulle rovine di una più antica (risalente forse al tempo dei frati) ove sostavano i pellegrini diretti alla "rasella" (la cella) provenienti dalla strada Costafigara - Rezzoaglio e dai paesi posti nell'alta valle dell'Aveto.




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Pagina pubblicata il 18 luglio 2006 (ultima modifica: 29.06.2014), letta 9812 volte
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