Viaggio nel nostro dialetto: quande a frana a se ciameia lübia

di Piero Campomenosi
articolo già pubblicato su L'eco del Maggiorasca

È bello parlare il dialetto, quando ad ascoltarti c'è un vecchio santostefanino o un avetano o perlomeno un ligure, ma allorché ti permetti di usare il tuo dialetto vero, autentico, quello dei tuoi nonni, quello che in pochi ormai conoscono, rischi di non essere capito neppure dai tuoi compaesani.
Perché mai, ci domandiamo?
Perché termini come lübia sono stati cestinati nel dimenticatoio della storia e quasi nessuno se ne serve?
Certo, i tempi cambiano, la gente non porta più la spazzatura all'apposito terreno franoso adibito a discarica sulle sponde, ad esempio, del Fossato Grosso (la lübia per antonomasia a Santo Stefano), ma questo non significa che non esistano ancora le lübie (frane) che, anzi, ultimamente si sono venute moltiplicando a causa dell'incuria umana.
Nessuno, tuttavia, neppure il più vecchio tra noi, oserebbe mai parlare di lübie per indicare tali fenomeni naturali. E allora ti domandi se, oltre all'italiano giustamente imparato sui banchi di scuola, non si poteva salvare dal naufragio generale anche quel vernacolo variegato e insostituibile che ci hanno trasmesso i nostri antenati.
Ma oramai è tardi; non si può chiudere la stalla dopo che i buoi sono usciti.
Qualcuno vorrebbe provarci, vorrebbe ripristinare il dialetto, ritornare al passato, insegnare ai giovani l'antica lingua materna, ma è solo tempo sprecato.
Da parte mia non posso fare altro che riprendere questi termini sul piano etimologico, scoprirne le origini e gli usi, collocarli in un determinato contesto storico e culturale.

La parola lübia, da cui deriva anche il verbo lübiâ (che sta per franare e quindi crollare, diroccare, rovinare) ha la sua origine nel latino alluvies, composto della particella AD a, indicante moto, e LUO, bagnare, da cui deriva l'italiano alluvione, che tuttavia non significava primariamente allagamento, ma "ogni deposito clastico di elementi trasportati o depositati dai corsi d'acqua superficiali" (M. Cortellazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, pag. 42).
Da alluvies si passa al medioevale alluvia (cfr. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, vol. I, pag. 189).
Alluvia diventa quindi successivamente luvia, con la caduta della sillaba iniziale, e quindi lubia con la trasformazione della consonante spirante sorda labiodentale v nella consonante esplosiva bilabiale sonora b, la stessa sorte toccata, ad esempio, ai vocaboli latini cavea (gabbia) e vertibellum (una rete da pesca formata da vari coni uno dentro l'altro), da vortere 'volgere', diventato in italiano bertovello o bertuello.

Si comprende di conseguenza come gli elementi trasportati dai corsi d'acqua (significato originario di alluvione) risultino facilmente terreni franosi (lübie) nel senso che intendiamo noi e come una lübia di una certa altezza, che serviva da sponda e margine ad un torrente o ad un fiume, potesse avere nei tempi passati anche la funzione di discarica: i rifiuti ruzzolano direttamente nell'alveo sottostante.

E'interessante inoltre osservare come lo stesso vocabolo lübia e il verbo lübiâ, franare, si trovino ancora, oltre che nel nostro idioma, nei dialetti di vaste aree dell'Italia settentrionale, soprattutto nel Pavese.
Questi termini non sono invece presenti nella lingua genovese classica e in genere nei dialetti della riviera.

Una leggenda narra che un tempo, sotto il Passo dei due Santi vicino a Zeri (MS), esistesse un paese chiamato La Lubia.
Uno dei due santi, a causa di un forte temporale che fece smottare il terreno, non riuscì più a trattenere il paese. E fu così che il piccolo abitato, chiamato La Lubia, venne portato via da una frana.
Come si nota, anche in questo caso, il termine lübia si associa facilmente alla voce frana.

 

Proverbi dialettali

"L'acqua a fa lübiâ e müragge" (l'acqua fa crollare i muri)

 


 

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Pagina pubblicata il 2 novembre 2006, letta 5131 volte
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sia tolto l'assenso a quelli fra essi, che attendono a procurare imbarchi di emigranti e farne sorvegliare la condotta e le operazioni per denunziarli, occorrendo, all'autorità giudiziaria.
2.° Quando risulti che gli Agenti o spedizionieri favoriscano la diserzione o la renitenza, procurando l'imbarco di giovani vincolati da obblighi di leva o di militari, denunziarli ai Tribunali anche dopo di aver tolto loro l'assenso.
3.° Quando risulti che questi Agenti o spedizionieri procurino imbarco a persone colpite da mandato di cattura, o prive di passaporto, o munite di passaporti altrui od alterati, o commettano frodi a danno degli emigranti, come spesso accade, oppure facciano partire individui che per imperfezioni fisiche o mentali debbano essere respinti per le leggi vigenti di America, siano denunziati ai Tribunali ancorchè privati dell'assenso.
4.° Che siano denunziati all'autorità giudiziaria i capitani di bastimenti che imbarcano individui privi di passaporto, contrariamente a quanto dispone l'articolo 130 delle Regie Patenti 13 Gennaio 1827, N. 270, pubblicate in tutto il Regno col Regio Decreto 22 dicembre 1871 N. 387.
5.° Che si eserciti la più rigorosa vigilanza per impedire l'imbarco per l'estero alle persone sprovviste di passaporto.
6.° Che si applichi rigorosamente l'art. 65 della legge sulla Pubblica Sicurezza, denunziando i contravventori a termini dell'art. 117, e rimandandoli alle case loro con foglio di via obbligatorio e col mezzo dell'ordinaria traduzione.
7.° Che alla frontiera del Cenisio si facciano retrocedere gli emigranti privi di passaporto per l'estero, che vanno ad imbarcarsi a Havre.
8.° Che a termini del regio Decreto del 30 Marzo 1872 N. 748, si neghi il passaporto ai giovani soggetti alla Leva, quando non si abbiano positive ragioni per ritenere che a suo tempo ritorneranno in patria.
9.° Che siano esaminati attentamente i passaporti per l'estero, affine di accertare se appartengono realmente ai portatori, e se in questi concorrono le altre indicazioni volute dalla legge nel senso delle istruzioni annesse al regio Decreto 13 Novembre 1857.

L'opera delle Autorità di Pubblica Sicurezza a Genova, Napoli e Torino non potrà certamente riuscire efficace, se non sarà secondata da quelle dei luoghi da cui partono gli emigranti; il Ministero darà a quest'uopo le necessarie istruzioni a tutti i Signori Prefetti, affinché si agisca dovunque col medesimo indirizzo.
Si raccomanderà alle Autorità dei paesi, che danno all'emigrazione un insolito contingente di dissuadere i contadini dallo emigrare, mettendo loro sott'occhio i pericoli, i disinganni, e la triste sorte a cui vanno incontro ed invitando i giornali a riprodurre le corrispondenze, che narrano le dure vicende di coloro che giungono in America senza mezzi.

Si raccomanderà inoltre di agire severamente verso gli emissarii delle Società di emigrazione e degli spedizionieri, che percorrono i villaggi e le campagne, applicando loro gli articoli 57, 64, e 65 della legge.
Si raccomanderà infine il massimo rigore nello eseguire le disposizioni delle leggi relativamente alla concessione dei passaporti per l'interno e per l'estero, obbligando i richiedenti a presentarsi personalmente agli Uffizi di Prefettura e Sotto Prefettura, e a dimostrare di avere i mezzi per fare il viaggio; per dimorare qualche tempo nel luogo d'arrivo, presentando la garanzia di persona solvibile, la quale si obblighi a rimborsare, occorrendo, la spesa pel viaggio di ritorno.

Il Ministero spera che con questi mezzi si riuscirà a reprimere la immorale speculazione degli agenti di emigrazione, si farà cessare l'emigrazione illecita dei giovani soggetti alla leva e dei militari non sciolti da ogni vincolo, e si frenerà la crescente tendenza nei contadini ad abbandonare la terra natia.
Nel manifestare siffatte prescrizioni Ministeriali a' signori Sindaci, li prego vivamente a volerne curare l'osservanza.

 

Il Prefetto
G. Colucci

Il Ministro Merlin

 

 

 

 


 

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Pagina pubblicata il 31 marzo 2008, letta 7260 volte
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