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Antonio Ghirardelli a trent'anni dalla scomparsa

di Piero Campomenosi

Sono trascorsi oltre trent'anni (quasi trentuno per la verità) dal giorno, il 15 marzo del 1977, in cui, a Bobbio, chiudeva la sua giornata terrena mons. Antonio Ghirardelli, per molti anni canonico della cattedrale e docente di latino e greco in seminario.Era nato ad Alpepiana nel 1904. È tumulato nel piccolo cimitero di Allegrezze in Val d' Aveto, dal momento egli che aveva trascorso gli ultimi anni accanto alla sorella, sposata a La Villa.

"Sacerdote integerrimo, colto, umile" si trova scritto sulla lapide della sua tomba e credo che a nessuno come a Monsignor Ghiradelli queste doti umane e cristiane siano mai state più confacenti...

In tempi come quelli attuali, in cui troppo spesso si calpestano i valori morali, quel superlativo assoluto, "integerrimo", suona come un richiamo per noi tutti a seguire le sue orme. Se, poi, all'integrità morale aggiungiamo la sua immensa cultura, soprattutto una cultura classica di grande spessore e la sua umiltà, intesa anche come consapevolezza della provvisorietà della nostra esistenza e dell'erraticità dell'agire umano ("Homo sum et nihil humani a me alienum puto" ripeteva spesso, riprendendo un passo dell'Heautontimoroumenos di Terenzio, durante le sue lezioni a noi studenti in seminario), ne esce scolpita una figura di uomo, di docente e di sacerdote, starei per dire, inimitabile ed unica nel suo genere.

Ecco perché, quando mi reco a Santo Stefano, il cuore finisce per condurmi là, accanto alla tomba del mio professore ad Allegrezze. Avverto la sua presenza in modo molto più intenso di quando egli faceva parte del mondo dei vivi. A lui mi rivolgo ancora come l'alunno di tanti anni fa in cerca di conoscenze e di certezze, ed egli, come tutti i grandi, che sopravvivono a se stessi, non smette d'impartirmi i suoi preziosi insegnamenti.

Incontrai per l'ultima volta il mio "maestro" nel 1971. Ero ancora studente universitario. Ricordo che insieme abbiamo compiuto una breve passeggiata da La Villa a Gramizza e ritorno, quando egli viveva ormai stabilmente con la sorella. Gli esposi i miei dubbi: non riuscivo a spiegarmi perché la vita umana dovesse avere una fine e non ci fossero alternative. Egli, guardandomi paternamente negli occhi "Non potrai capire queste cose, - mi disse, - se prima non diventerai come un ciottolo della Trebbia. Solo quando la vita ti avrà levigato come un sasso e privato d'ogni asperità, potrai liberarti di ogni egoismo e affidarti alla divinità. È Dio che ci vuole salvi, se noi sappiamo collaborare. Solo a Lui possiamo e dobbiamo affidarci... Sotto un'impalcatura provvisoria – proseguì, citando Sant'Agostino, - il Signore costruisce un'abitazione eterna. Con te, probabilmente, Egli è ancora all'inizio dell'opera..."

Rimasi senza parole. Il mio professore mi aveva "spiazzato" ed io non potevo certo ribattere a tali mirabili argomentazioni.

Mi piace, a questo punto, concludere questo breve scritto con una lirica dedicata proprio a Monsignor Ghirardelli, estrapolata dal mio recente libro di liriche dal titolo "La fascina" (Sabatelli, 2003). L'ho scritta ripensando a quella passeggiata avetana.

 

Don Ghirardelli

"Questo mondo non è a tenuta stagna...
- mi dicevi, guardandomi negli occhi. -
Di quando in quando s'apre uno spiraglio..."
Ma io capivo poco, forse niente.
Non sapevo che eterni si diventa,
soltanto lacerando la calotta
di piombo,
che ci avvolge,
fino a scoprire il sole.

 


 

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Pagina pubblicata il 25 febbraio 2008 (ultima modifica: 01.04.2008), letta 4585 volte
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