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La 'Fiera del bestiame' che tradizionalmente si tiene a Sbarbari il 19 maggio

di Sandro Sbarbaro

Il paese di Sbarbari si dice fondato dai banditi. Ed è assai probabile visto che verso la fine del Cinquecento uno Sbarbaro del paese di Porcile di Val di Sturla, bandito dalla Repubblica di Genova, albergò sul territorio del Marchesato di Santo Stefano d'Aveto. La cosiddetta Casa delle pecore fu, secondo la tradizione, la prima casa del bandito di Sbarbari.
Verso la metà del Settecento visse a Sbarbari un altro personaggio di spicco, l'Armarolo Vincenzo Sbarbaro che esercitava la sua arte nel castello di Torriglia.

La vocazione che nei secoli scorsi contraddistinse il paese, testimoniata dalle numerose ote (le volte per il ricovero delle bestie) un tempo presenti in paese, è quella commerciale. La maggioranza dei paesani ha da sempre esercitato, data l'abbondanza dei pascoli e delle acque, l'arte del contadino o del pastore, ma alcuni paesani si specializzarono nell'arte del mulattiere e in seguito in quella del mercante.
Richieste dei cittadini per l'ottenimento di una fiera, al fine di sviluppare i commerci, vennero presentate già nel periodo della dominazione francese. In un Libro de Censi dei Della Cella si legge

"1806: 21 aprile [...] Il rimanente ha promesso darlo alla fiera del 29 maggio ora prossimo che sono £ ..."

Nonostante ciò, per vedere istituita la 'Fiera di Sbarbari' occorerà aspettare, secondo gli anziani, il ventennio fascista.
La fiera del 19 maggio divenne, dopo la sua istituzione, una delle più frequentate dell'Appennino. Nel piccolo paese lungo il corso dell'Aveto iniziarono a giungere mercanti da ogni dove: da Torriglia, da Montoggio, da Bedonia.
I mercanti di Sbarbari, che a loro volta giravano per le fiere dell'Appennino, divennero fra i più quotati. Famosi erano gli Sbarbaro della famiglia degli Stecche, conosciuti grazie ai loro soprannomi: "u Biancu", "u Moru", "u Tassin", "u Giannin da mestra". Compravano indifferentemente mucche, vitelli e cavalli, traendo dalla compravendita ottimi guadagni.

Una vecchia cantilena indicava i paesani di villa Sbarbari come "I mercantun de Ca' di Sbarburi", cioè "I mercanti di Casa degli Sbarbari", riferendosi all'arte e all'antico nome del villaggio.
Ora si cerca di mantenere viva la tradizione continuando a proporre l'antica fiera, ma dei vecchi "mercanti" è rimasto il ricordo.

 


 

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Pagina pubblicata il 18 maggio 2009, letta 4166 volte
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