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Antichi racconti riguardanti la casa delle Gaie

di Sandro Sbarbaro
racconti di Albino Fulle raccolti da Sandro Sbarbaro

Grazie ad Albino Fulle detto Bino, residente alla Garba frazione di Rezzoaglio, siamo in grado di raccontare alcuni particolari riguardanti l'ormai abbandonata casa delle Gaie.

 

Alla fine del XIX secolo abitava alle Gaie un solo uomo conosciuto concordemente come L'ommu de Gaie dai valligiani dell'alta Val d'Aveto.
L'ommu de Gaie era ritenuto da tutti un gran lavoratore, tanto che a tal proposito fu coniato addirittura un detto che variava leggermente da parrocchia a parrocchia.
Fuori dalla parrocchia di Cabanne il detto suonava pressappoco così:

L'ommu de Gaie u Segnù u nu piggia mai in lettu!
( L'uomo delle Gaie, il Signore non lo sorprende mai a letto! )

Alla Garba (parrocchia di Cabanne), frazione poco distante dalle Gaie, il detto era il seguente:

L'ommu de Gaie l'alba a nu l'ha mai piggiau in lettu e u su mai dezun!"
( L'uomo delle Gaie l'alba non l'ha mai sorpreso a letto e il sole mai digiuno! )

Infatti l'uomo delle Gaie, da buon contadino, si alzava prima dell'alba. E prima che il sole posasse il suo sguardo assonnato là sulla casa delle Gaie affacciandosi dalla balconata del Monte Maggiorasca, egli aveva già fatto colazione.

La bisnonna di Bino Fulle, tal Mariin da Garba morta nel 1942 alla veneranda età di 101 anni (classe 1841), ricordava che quando lei era giovane l'uomo delle Gaie alla sera veniva a veggià alla Garba (in quel tempo, infatti, la veglia era una consuetudine fra i contadini del nostro Appennino).
Una sera l'uomo delle Gaie incontrò, lungo il sentiero che conduceva alla Garba, il lupo.
Al chiaror della luna l'animale lo osservava inquieto, pronto ad attaccare.
L'uomo, intabarrato nella mantella a ruota per ripararsi dal freddo pungente dell'inverno, studiava come contrastare la bestia che certo era affamata.
All'improvviso il lupo con un balzo si gettò verso l'uomo che repentinamente lanciò verso l'animale la sua mantella, sviandone l'assalto.
Poi sfilato dal fodero u stillu (il pugnale), arma con cui giravano all'epoca i nostri contadini per difendersi da eventuali assalti, finì la bestia a pugnalate.

Il fatto che l'arma da difesa, o offesa, di quei tempi fosse u stillu è confermato da un altro episodio citato da Bino Fulle.
Egli ricorda di aver sentito narrare che il fratello di suo nonno tal Fulle ......... originario della frazione di Mileto, presso Cabanne, un dì venne a bisticciare con un altro valligiano.
Dalle parole in breve si passò ai fatti.
I due iniziarono a spintonarsi e a mettersi le mani addosso.
Ad un tratto il valligiano estrasse il suo stillu e menò un fendente verso il Fulle all'altezza del cuore.
Il Fulle cadde a terra che sembrava ferito a morte.
L'aggressore si dette alla fuga.
Fortunatamente la lama del pugnale aveva centrato un pezzo da cinque lire d'argento, con l'effige di Vittorio Emmanuele I, che il Fulle teneva nel taschino del panciotto.
Così ebbe salva la vita.

 

Molto tempo dopo, verso gli anni venti del secolo XX, alla Gaie venne a stabilirsi una famiglia di carbonini originari del Veneto.
Costoro vivevano, così come altre famiglie che si dedicavano a quell'arte, nella miseria più nera.
Avevano lasciato la loro terra d'origine per recarsi a fare il carbone in Val d'Aveto in cambio di una misera mercede, vivendo spesso in baracche di legno in condizioni igieniche spaventose.
Ricordiamo che in altri tempi le stesse vicissitudini erano toccate ai valligiani avetani quando stagionalmente emigravano verso la Toscana e la bassa Padana.
I carbonai veneti avevano già sei bambini che giravano seminudi per la casa, fra il puzzo del fumo di legna umidiccia ed il fetore degli escrementi.
Giunse il medico Cerri col suo cavallo e l'immancabile sigaro fra i denti che mandava baluginii violacei.
Chiese dove fosse la partoriente; gli fu indicato il giaciglio.
La povera donna era in attesa di un altro figlio.
Il medico, svolte le sue mansioni, si rivolse al marito sollecitandolo a stare attento a non mettere più al mondo altri marmocchi, data al sua condizione di diseredato.
L'uomo si levò fiero verso il medico:

"Ostia ciò! Dio can, che fagga miseria in tutto... ma in questo no! Veh!"

Il medico rimase colpito dalle parole dell'uomo e preso dalla commozione levò la coperta che teneva legata sulla sella del cavallo e la consegnò all'uomo perché coprisse al meglio la consorte.
Giunto a Rezzoaglio, si rifornì di ogni genere di conforto e lo inviò ai diseredati della casa delle Gaie.

 


 

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Pagina pubblicata il 19 ottobre 2007, letta 5334 volte
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