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L'origine del cognome Squeri

di Sandro Sbarbaro

Nel maggio 2005 l'amico Enzo Squeri mi rivelò che aveva capito quale fosse l'origine del suo cognome.
Secondo le sue ricerche gli Squeri furono mastri d'ascia veneti venuti a lavorare nella foresta del Monte Penna ai tempi dei Doria e quindi stabilitisi in Val di Taro, precisamente nella zona intorno a Santa Maria del Taro.
Mi informò altresì che a Venezia esiste un Calle degli Squeri.

Recentemente ho avuto tra le mani un bel libro dell'amico Sergio Rossi, "Cucina di guerra nell'assedio di Montoggio del 1547" 1.

Cucina di guerra nell'assedio di Montoggio del 1547

A pagina 31 di questo testo si può leggere quanto segue:

 



Da un lavoro di Vilma Borghesi [Guerra e commercio nell'evoluzione della marina genovese tra XV e XVII secolo, Genova 1970] traiamo una parte che ci aiuta a capire l'importanza del legname alla metà del '500:

Il maggior problema per le costruzioni navali a Genova era costituito dal legno, di cui l'entroterra ligure era relativamente povero, soprattutto di quei legnami richiesti e preferiti per le costruzioni navali (rovere, noce) che venivano usati per le parti essenziali della struttura, perché più resistenti.

Ecco che in un quadro generale di scarsità di materia prima, mettere le mani sul patrimonio boschivo di Montoggio diventa molto conveniente.
Per fornire semplicemente un'indicazione di massima riguardo al costo del legname impiegato nei cantieri navali di Genova, abbiamo ricavato i prezzi di particolari assi chiamate squere (da cui deriva il termine genovese squè ancora utilizzato) relativi al 1552.
Le squere erano tavole di rovere o altre essenze - spesso di misure standard - impiegate nella costruzione delle galee.
Fra le misure più frequenti ritroviamo lunghezze di 6,69 metri, 8,92 metri e 9,70 metri con uno spessore medio compreso fra i 2 ed i 5 centimetri.
Dal resoconto del 1552 possiamo rilevare che una squara da 12 goa (8,92 metri) costava 1,5 scudi corrispondenti a circa 5 lire, 3 soldi, 6 denari.
E anche se si tratta di tavole di notevole lunghezza, che quindi possono ricavarsi solo da alberi di grosse dimensioni, il prezzo è piuttosto elevato.


 

Spinto dalla preziosa indicazione di Sergio Rossi, sono andato a consultare l'edizione anastatica del "Vocabolario Genovese - Italiano" di Giovanni Casaccia, Genova 1851; a pagina 546 è riportata la definizione del termine squaea.

Squaea. S. f. Pancone; legno segato per lo lungo dell'albero di grossezza di sopra a tre dita, del quale si fanno assi più sottili, detti Panconcelli e Correnti  V. Toê

Ecco così confermata l'origine del cognome Squeri.
Squeri: mastri d'ascia abili a fabbricare particolari tavole dette squere.

 

 

Commenti inviati dai lettori


Sergio Squeri da Milano
08.06.2009 18.43
Carissimo Sig.Sbarbaro,
innanzitutto complimenti per il sito ricco di contenuti specialmente storici.
A riguardo dell'articolo circa l'origine del cognome Squeri, trovo le segnalazioni di Enzo (vicino di casa dei miei genitori ad Alpicella...) e la Sua, originali e molto realistiche.
Mi permetto di inviarLe quanto da me recuperato durante una mia personale ricerca.

Lo squero è il tipico cantiere per imbarcazioni a remi della città di Venezia.
L'etimologia del nome è legata probabilmente alla parola dialettale squara, ossia la squadra, strumento di lavoro fondamentale per i maestri d'ascia. In origine, lo squero indicava genericamente il cantiere navale per la costruzione, la manutenzione e il ricovero delle imbarcazioni di ogni dimensione, sia a remi che a vela, spaziando dai piccoli sandołeti fino alle grandi galee da guerra. Con l'accentramento nell'Arsenale dell'attività cantieristica per le navi più grosse, sia militari che mercantili, l'ambito degli squeri si specializzò sulle imbarcazioni più piccole, di uso privato.
Lo squero è caratterizzato da un piano inclinato verso il canale o il rio per la messa a secco e il varo delle barche. Alle spalle del piano, recintato su due lati, è presente una costruzione in legno coperta e aperta verso il piano di varo, detta tesa. La tesa costituisce allo stesso tempo la zona di lavoro vera e propria, al riparo dalle intemperie, e il deposito degli attrezzi. Tipicamente, le abitazioni contigue o, dove presente, il piano superiore dello squero fungono anche da abitazione del proprietario o del capomastro.
Ai tempi della Repubblica di Venezia gli squeri erano diffusi su tutto il territorio urbano, come testimonia tuttora la toponomastica cittadina con le numerose Calle del Squero presenti un po' ovunque. C'era però una particolare concentrazione a Castello, nella zona dove ora si trova la Riva dei Sette Martiri, a Dorsoduro e alla Giudecca, sul lato rivolto verso la parte sud della laguna. Col passare del tempo, sia per la drastica riduzione dell'impiego delle imbarcazioni a remi, limitata oggi all'uso turistico o sportivo, sia per l'avvento di nuovi materiali di costruzione come la vetroresina, le attività degli squeri si ridussero sempre di più, provocandone una drastica riduzione di numero.
Attualmente nell'ambito cittadino, insieme ad alcuni cantieri minori, sopravvivono solo cinque squeri propriamente detti: tre a Dorsoduro e due alla Giudecca.
I tre squeri di Dorsoduro sono lo squero Tramontin, agli Ognissanti; il confinante squero Bonaldo, sempre agli Ognissanti e lo squero della Cooperativa Daniele Manin, noto anche come Squero di San Trovaso. Questi squeri producono quasi esclusivamente gondole.
I due squeri della Giudecca sono lo squero Crea, proprietà del notissimo regatante Gianfranco Vianello detto Crea, che è anche l'unico a consegnare le gondole complete di tutti gli accessori compresi remi e forcole, e lo squero Costantini-Dei Rossi, molto fedele alla tipologia classica dello squero. Questi due sono anche gli unici squeri a produrre in quantità significative non solo le gondole ma anche le altre imbarcazioni tipiche della laguna di Venezia.

Sebbene quanto pubblicato su Valdaveto.net mi sembri molto più realistico ed etimologicamente corretto rispetto a quanto da me recuperato, mi sembrava interessante e gradevole inviarLe anche questa 'versione'.

 


 

Note

[1] Sergio Rossi, Cucina di guerra nell'assedio di Montoggio del 1547, ed. La Lontra, 2005

 


 

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Pagina pubblicata il 17 maggio 2006 (ultima modifica: 08.06.2009), letta 10407 volte
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