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La mia attività: 1999 - 2000

di Sandro Sbarbaro

Alla mostra sul Vinzoni ritrovai Massimo Brizzolara (1), il primo storico che abbia affrontato, dopo Giuseppe Fontana (2), un discorso organico sulla storia della Valle dell'Aveto.
Massimo, originario di Magnasco, è un avetano che lavora lontano dal clamore (tratti che in seguito ebbi modo di rilevare in Piero Campomenosi , originario di Campomenoso, altro valligiano cui non piacciono le luci della ribalta) : nonostante i miei tentativi di coinvolgerlo più a fondo nel progetto di riscatto della nostra Valle, respinse l'offerta... e forse non a torto.

Sempre alla mostra sul Vinzoni incontrai alcuni valligiani che, sulla scorta d'indicazioni fornite loro dai 'vecchi', mi segnalarono l'esistenza di presunti insediamenti fortificati nel comprensorio dei comuni di Rezzoaglio e Santo Stefano d'Aveto .
In particolare mi fu segnalata l'esistenza del Castello d'Esola nella zona detta propriamente Castello, verso il Bricco de gh'Avei(anni dopo, accompagnato dall'amica Graziella Mazza, indagai in quella stessa zona, ma senza riuscire ad individuare chiare tracce).
Da allora, agosto del 1999, iniziai a fare indagini sul territorio.

Iniziai a fare domande ai valligiani, a farmi indicare ove si trovassero le zone che loro da millenni chiamano Castello, Castelluzzo o Castelletto.
Grazie anche alle segnalazioni degli amici di Cabanne (fra i quali Marco e Ivano Cella) e di Rinaldo De Martini (che aveva per mio conto intervistato un'anziano di Cabanne, e che mi indicò anche la posizione dei Castelletti della Moglia), fra il settembre e l'ottobre del 1999 riuscii ad individuare la posizione presunta del Castelluzzo di Mileto.

Sempre in questi luoghi feci alcune ricognizioni per rendermi conto se fosse possibile l'applicazione della 'teoria delle triangolazioni' suggeritami dall'amico geometra Giorgio Palazzo (cui devo molte delle mie conoscenze sull'esistenza di tracce o ruderi riconducibili ad epoche imprecisate) il quale, per suo conto e già da qualche tempo, si muoveva sul territorio cercando le vestigia dei Monaci di Villa Cella.
Con Giorgio effettuai ricognizioni al Gifarco (ove pare esistesse un tempo un ricovero o punto d'avvistamento per gabellieri), a Villa Piano e a VillaCella.
La teoria pareva funzionare.
Le segnalazioni attraverso specule da un 'poggio castellabile' (ove si poteva insediare un claustro, o recinto, o una torre, o punto d'avvistamento) all'altro si rivelarono teoricamente possibili. Ecco come veniva osservato e controllato il traffico che un tempo attraversava la valle.

Ad ottobre del 1999, aggirandomi per Parazzuolo alla ricerca di vestigia storiche scoprii quasi per caso la Ca' de gh'Osti (che tempo dopo trovai, poco leggibile a causa di tratti di muratura residua e macerie ancora da sgomberare, fra le foto d'Osvaldo Garbarino (3) ), ed appresso la Ca' de Menun: quest'ultima presentava un interessante elemento litico, alto mt. 4,10 per la parte fuoriuscente dal terreno, che io chiamai 'stele'.
Incontrai il professor Tiziano Mannoni nella vecchia sede dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri in Via Balbi per mostrargli le foto della Ca' de gh'Osti.
Traguardando le foto, per la verità non eccezionali, Mannoni rilevò che la Ca' de gh'Osti era costrutta con elementi litici di buona fattura.
Successivamente inviai al professore uno schizzo, conforme all'originale, completo di tutte le misurazioni da me effettuate sulla stele.

La stele

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Dopo la mia segnalazione da quelle parti si aggirarono molti esperti che si attribuivano la paternità della scoperta, mentre nemmeno gli abitanti di Parazzuolo, prima dell'intervento del sottoscritto, avevano dato importanza al sito, un poco decentrato rispetto alle attuali arterie viarie.

Su invito dell'amico Giovanni Ferrero avevo intanto iniziato a frequentare saltuariamente l'Istituto Internazionale di Studi Liguri di Genova con un duplice intento: acquisire nuove conoscenze e far conoscere la Valle dell'Aveto, un vero e proprio buco nero nella storiografia ligure, al mondo degli studiosi.
Da Gianni Ferrero, al quale non cesserò mai d'essere riconoscente, mi furono presentati gli storici locali Guido Ferretti di Casoni di Fontanigorda, con il quale stabilii un rapporto di scambio di notizie e documenti, e Mauro Casale di Torriglia.

Nell'ottobre 1999, mentre stavo curiosando in cerca di libri antichi al mercato dell'antiquariato di Chiavari, incontrai Claudio Ceotto.
Claudio mi spronò a scrivere un 'pezzo' sui banditi della Val d'Aveto per la nascente rivista bimensile Grigua all'interno della quale svolgeva le funzioni di direttore ed articolista.
Grazie al feeling instauratosi con Claudio (un 'pazzo' innamorato dell'universo libro, valente scrittore di romanzi d'avventura per l'infanzia, al quale devo molto) iniziai a collaborare alla pagina Griguacultura.
Il saggio 'Banditi di Val d'Aveto e loro rapporti con la Serenissima Repubblica Genovese' fu prodotto fra il novembre e il dicembre del 1999: uscì sul primo numero di Grigua (gennaio-febbraio 2000) in versione fortemente ridimensionata (per ragioni di spazio) con il titolo 'Banditi di Val d'Aveto. Robin Hood genovesi del 1500'.
Claudio mi espresse l'intenzione di pubblicare la versione integrale del saggio all'interno di una rivista annuale che si sarebbe dovuta intitolare I quaderni di Grigua... ma non si approdò a nulla.
Imparai che chi cura la stampa d'articoli o saggi (lavoro improbo) tende, un poco per migliorare la scorrevolezza del testo e molto per ragioni di spazio, a tagliare l'opera originale.
La cultura, purtroppo, costa sia produrla, che stamparla.

Nell'ambito della collaborazione con la Pro Loco di Rezzoaglio progettai l'idea del depliant Hemingway e la Val d'Aveto: il progetto fu sviluppato, in qualità di grafico, dall'amico Paolo Giovagnoli.
Il depliant ebbe un buon successo e fu presentato verso il luglio del 2000.


Hemingway e la Val d'Aveto

Sempre in collaborazione con Paolo Giovagnoli realizzai la mostra Matteo Vinzoni cartografo presentata nella 'Sala degli Alpini' del Comune di Rezzoaglio il 9 Agosto 1999.
In attesa di sviluppare un libro su Matteo Vinzoni e la Val d'Aveto degno dell'illustre cartografo, venne stampato (in alcune decine di copie) un libello sulla mostra e sul materiale in essa contenuto.

Su invito del Sindaco di Rezzoaglio Silvio Cella e nell'ambito delle celebrazioni del 'Novecentesimo anniversario della Fondazione del Monastero di Villa Cella', realizzai (gennaio 2000) un breve saggio dal titolo 'Il Mistero di Villa Cella'.
Intorno al 25 marzo 2000 realizzai, sempre su indicazione del Sindaco Silvio Cella, un breve saggio dal titolo 'Luoghi di interesse storico in Val d'Aveto (Comune di Rezzoaglio)'.

Luoghi di interesse storico in Val d'Aveto (Comune di Rezzoaglio)


Il saggio fu inviato all'allora Assessore alla Cultura della Provincia di Genova Maria Paola Prefumo, nell'ambito di una richiesta di finanziamenti attraverso i quali attuare importanti restauri in occasione del Giubileo 2000.

In tale saggio, parlando di strade antiche, scrivevo:
[...] Però noi aggiungiamo che analizzando la famosa Tavola Peutingerian e la deviazione, dopo Luni e Boron (ovvero l'attraversamento della Val di Vara), in Alpe Pennino, non possiamo fare a meno di pensare, al contrario di molti storici, che il passaggio in Alpe Pennino sia quello della zona del monte Tomarlo (o Tomar) nella catena del Monte Penna che è appena sopra la villa di Santo Stefano d'Aveto con la conseguente discesa verso Pievetta o verso Caselle per traversar l'Aveto e dirigersi ai passi su accennati.
A conferma di questa ipotesi cito un brano tratto dalla Relazione di Giulio Maratti ad Antonio Doria del 1549 riguardo al: "Confine d' la Iur.one di Santo Stefano" che recita " [...]
Da una parte Giurisditione de Taro de M. Manfredo Revaschiero mediante la cima del monte appellato la Pennanome corotto perché trovo che l' hè il monte Apenino ".
E altresì riproduciamo un estratto da "Visita de confini del Comis.° di Compiano dell'anno 1708 del mese d'Ottobre" che giace in Archivio di Stato a Genova fra le Filze del Col. Ing. Matteo Vinzoni, che si occupò a più riprese del problema dei confini, e che così recita: "...fatta la visita de i Confini di Compiano, e di Santo Stefano del Prencipe Doria à dì 18-8. bre... Dall'Apenino ove quant' acqua pende a Ponente è della Giurisditione di Santo Stefano, quanto a levante è nelterritorio di P.... Giurisditione di Compiano. (e più oltre)... s'arriva sopra un altro monte che si dice Montenegro, e dalla somità del detto Apennino..."
Dal chè si evince che non è campata in aria l'ipotesi che il percorso in Alpe Pennino della Tavola Peutingeriana possa esser stato ricalcato sul percorso che già gli antichi liguri del Pago Martius facevano per approvvigionarsi di stagno in Etruria
[cfr. M. Tosi in ArchivumBobiense], strada poi ripresa da Annibale, e confermata da Matteo Vinzoni nel 1755 come percorso della "Strada del sale" che proveniva dalla "Stapola" (ovvero dogana) di Massa verso Santo Stefano d'Aveto per dirigersi o a Ottone, o verso le podesterie che cingevano la Val d'Aveto e fors' anche alle Riviere.
Ciò, era riportato, sulla scorta di un'intuizione che ebbi, già il 26 ottobre 1999, grazie alle indicazioni che Angelo Terenzoni fornisce in Ceula, Ligure - Romana - Alto medievale (sec. VI a.C. - sec. XII d.C.), Editrice Liguria 1977, p. 81, ove cita Il tratto " Luni - Boron - in Alpe Pennino " disegna infatti una ben precisa direzione, mostrando la rappresentazione cartografica la via sul punto di superare un'alta catena di montagne, la leggenda " Veleiates ", che si estende nello spazio libero, dopo la linea oltrepassata dalla via stessa, indica poi lo stanziamento di quelle tribù avanti la delimitazione municipale romana, stanziamento che superava ampiamente i confini del più tardo Municipio di Veleia.
Non erano, forse, gli antichi Liguri della Val d'Aveto di stirpe Veleiate.

Intanto avevo ripreso a fare ricognizioni sul territorio alla ricerca di eventuali antichi insediamenti.
Con l'amico Giovanni Ferrero eravamo giunti alla conclusione (anche sulla scorta d'esperienze desunte da libri di storici che agirono tra il 1920 ed il 1940, specie Giuseppe Fontana per la zona Avetana) che alcuni poggi castellabili, sia in Aveto sia in Trebbia, vennero appositamente disposti lungo le anse dei fiumi al fine di sfruttare il naturale sbarramento su tre lati che queste zone offrono.

Sempre grazie a Gianni Ferrero fui introdotto nell'ambiente degli storici e degli 'storici locali'.
È bene precisare che gli 'storici locali' sono cosiddetti perché, non essendo 'dottori in storia', non vengono considerati degni di fregiarsi del titolo di storici.
Quasi che la storia cosiddetta locale sia un sottoprodotto della Storia!
Non è forse vero che gli accadimenti che si svolgono in ambito locale interagiscano con altri, magari avvenuti a centinaia di miglia, per dare origine a quella comprensione del 'tutto' che è la storia?
Gli 'storici locali' lavorano seriamente, pazientemente, onestamente e con passione: hanno tutti i titoli necessari per fare Storia!
La Storia, così come la Cultura, appartiene a tutti.

Durante le molte manifestazioni di cui Giovanni Ferrero era promotore (4), io incontrai storici e 'storici locali' di varia provenienza, arricchendo ed ampliando, così, le mie conoscenze.

Nel Luglio del 2000 realizzai, per l'amico Alberto Menna, due pannelli espositivi in cui era rappresentato il Miracolo d'Allegrezze (5): furono esposti in occasione della Festa della Trebbiatura che si tenne in quell'anno a La Villa, frazione del Comune di Santo Stefano d'Aveto.
Tale festa, che annualmente va sempre più ricevendo consenso tra le carovane di visitatori che fin qui giungono per gustare una giornata d'altri tempi, rappresenta fra le case del villaggio gesti d'usata memoria, proponendo, con un salto nel passato, gli usi ed i costumi dell'epopea contadina in Val d'Aveto.

Sempre nell'agosto del 2000, con gli amici della Sezione Cultura della Pro Loco di Rezzoaglio (Graziella Mazza, Lino Maggi, Maria Badaracco, Lino Losi, Manuela Brignole) realizzammo, con la supervisione di Graziano Fontana, la mostra delle Foto Antiche, per recuperare in parte il patrimonio fotografico disperso presso le varie famiglie della Valle, fonte importantissima per un futuro Archiviod'immagini della nostra cultura.

Il giorno 17 giugno 2000, pochi mesi prima, su indicazioni di Antoniuccia Sbertoli, impiegata al Comune a Santo Stefano d'Aveto, conosciuta frequentando l'archivio comunale alla ricerca di documenti antichi sulla Valle, trovai il Castello di Rezzoaglio, o meglio i suoi ruderi, e sulla piana sottostante i resti di un antico villaggio.
Il sito prossimamente sarà interessato da una campagna di studi da parte degli amici medievisti,storici dell'arte, archeologi e storici.
La scoperta ebbe seguito in virtù del fatto che, mentre io ero intento a scrivere il contributo Rezzoaglio, che doveva far parte del depliant Rezzoaglio. Hemingway e la Val d'Aveto, parlavo di "Castello" posto sulla rocca omonima, presso l'ansa dell'Aveto, senza averne minimamente verificato l'esistenza.
Non era corretto pubblicare una notizia sulla scorta di "sentito dire", specie quel genere di notizia.
Così quel giorno 17, verso le 13.00, chiesi se qualche strada portava alla collinetta oltre l'Aveto, ove s'immaginava fosse, scendendo verso il rio Molineggio.
Percorso forse più praticabile, ritenendo impensabile il guado dell'Aveto.
Mi fu risposto, dal cugino della Sbertoli, che forse c'era ancora un sentiero che portava alla "Megoia", ma che era " un bûscioà " (luogo invaso dalle serpi) e se era mia intenzione di andare a perdere la vita...
Lui del castello non n'aveva mai sentito parlare, così una vecchia del luogo d'Esola da entrambi interpellata.

Io mi avventurai, avevo la videocamera, una piccola macchina fotografica Kodak, dei fogli quadrettati, una matita, e una metrella da 5 metri.
Girovagai su e giù, per la collina puntuta, ferendomi coi rovi e coi pruni.
Credevo di non aver trovato nulla...
Scendendo sulla spianata sotto la collinetta anzidetta, m'imbattei in un muretto, alto poco più d'un metro, apparecchiato in conci di buona fattura, non sembrava una macera, v'erano tracce di malta come legante.
Vi girai intorno, era quella che poi chiamai negli schizzi approntati la torre.

Pazzo di gioia... Incominciai a fotografare e riprendere con la cinepresa, feci più giri intorno alla torre nel timore che, come spesso succede, certe riprese saltino.
Per via della troppa eccitazione, ci si dimentica di controllare se è accesa la spia del REC.
La data era sovra impressa sulla pellicola.

Bene!

Iniziai a fare gli schizzi della torre, poi visto che s'era fatto tardi, feci il percorso a ritroso ripromettendomi di ritornare a breve.
Il 24 giugno 2000, dopo aver percorso il solito sentiero, ed aver individuato chiaramente muri di sostegno che portavano al sito, mi trovavo, nuovamente, a filmare e a rilevare nei pressi della torre.
Osservando meglio, mi accorsi che c'erano altri muri semitondi.
Mi accingevo a filmarli...
Alcuni metri più in là, intravidi fra le fronde, in seguito ad una variazione di luminosità, altri muri.
Era il bastione semicircolare.
Il campanile di Rezzoaglio batteva sordi rintocchi, ma a me dello scorrer del tempo poco importava, ero io ed il mio castello, quasi un rapporto di simbiosi.
Lui aveva bisogno di me per emergere dalle nebbie della storia, io avevo bisogno di lui per dare un senso ad anni di duro lavoro in quelle plaghe, spesso deriso come un cacciatore di sogni.
Ora avevo una preda, e che preda!
Rimasi sul sito fino a quando riuscii a distinguere qualcosa in mezzo alla vegetazione.
Il campanile... Fedele sentinella, di là dall'Aveto, attraverso l'occhio della torre campanaria, ogni tanto guardava bonaria a quel pazzo che si arrovellava a salire e scendere dalla collinetta spianata in cerca di chissà ché... Aveva forse smarrito la ragione!
Il pazzo aveva individuato postazioni difensive più in basso lungo il fiume, parevano controllare la strada che dal guado presso un grosso masso in mezzo all'Aveto, con i ruderi di una pila, conduceva, ben articolata, con muretti a secco alla spianata della torre e del torrione semicircolare.

Colpendo il sottobosco col suo fido bastone, il pazzo, lì per lì sentì un suono sordo, come di un muro, ma avendo paura, essendo solo, a scendere verso il dirupo per controllare, abbandonò l'idea.
Tempo dopo, tornò sul sito con gli amici: Alberto Menna, Armando e Carlo Fugazzi, quest'ultimo calandosi giù ritrovòil muretto, o avanzo di muro perimetrale.
S'era fatto tardi.
Provò a discendere dove la collinetta sembrava degradare dolcemente verso l'Aveto.
Fu alla fine del percorso che, giunto sul piano, si avvide della presenza d'immensi muri perimetrali, o almeno così sembrava.
Le pietre parevano accatastate sfruttando l'imponenza del basamento, essendo massi di fiume sovrapposti senza apparente traccia di legante.
Costeggiò la spianata.
Incontrò altri immensi muri che parevano di difesa.
Un tratto di muratura misurava circa tre metri di spessore.
Nel boschetto a lato ancora ruderi disseminati dappertutto.
Incontrò una casa colonica, che negli schizzi avrebbe chiamato foresteria.
Indagò brevemente e provò a guadare il fiume, passando di masso in masso, con l'ausilio del bastone che fungeva da stabilizzatore.
Giunse sull'altra riva.
Risalì un sentiero e sbucò sul piazzale della chiesa di Rezzoaglio.
Incontrò il Sindaco.
Disse... Forse ho scoperto il Castello di Rezzoaglio... Gli fu risposto... Ah! Bene...
Tornò ancora sul sito per accertarsi di non aver preso abbagli, e vi portò gli amici d'Allegrezze il 23-08-2000.
Tornò il 1 Settembre 2000 con l'amico Paolo Giovagnoli, che possedeva una macchina fotografica digitale, in modo da realizzare alcune foto decenti, e intanto fece altre riprese con la videocamera e nuove indagini.
In virtù delle varie spedizioni sul sito, realizzò alcuni schizzi su carta quadrettata sul suo quaderno d'appunti, con viste di fianco o dall'alto dei luoghi, riproponendo abbastanza fedelmente, diremmo in scala, i ruderi dell'insediamento.

Intanto era apparso sul numero 5 della rivista 'Grigua' (settembre-ottobre 2000), alla pagina 21 della rubrica 'Grigua Cultura', un pezzo da me firmato: 'Il Castello di Rezzoaglio. L'esclusivo ritrovamento nella Val d'Aveto.

É bene ricordare che anche sugli insediamenti di Mileto e Castelletti, lo Sbarbaro aveva riprodotto, specie del primo, tentativi di ricostruzione grafica, in base ai pochi elementi visibili, non essendovi sul luogo strutture in alzato, che permettessero di stabilire con certezza ove fosse posta un'eventuale torre, o claustrum.
In specie una riproposizione dopo un'indagine sul campo effettuata verso la fine del settembre 2000.
Le immagini e gli schizzi del presunto Castello di Rezzoaglio, stampate su supporto cartaceo, se le portò al seguito per mostrarle agli amici Gianni Ferrero, Guido Ferretti e Mauro Casale durante la gita a Brescia, in occasione della mostra Il futuro dei Longobardi, organizzata dall'Istituto Internazionale di Studi Liguri di Genova, alle cui lezioni da qualche tempo partecipava.
Verso il 16 di settembre dello stesso anno fu accompagnato dall'amica Graziella Mazza, alla "Casa dei Galli", casa forte, o caminata, come la chiama G. Fontana, nei pressi di Rezzoaglio, un tempo casa gentilizia, con funzioni di dogana e controllo i cui ruderi presentano ancora notevole interesse.

Su indicazione della stessa indagò sulla collinetta del Castelletto in località Pre grise, o Pre Grixie, non lungi da "Casa dei Galli", essendo l'una e l'altro a vista, ove ancor si rilevano muretti che tendono a formare sulla sommità un basamento per un eventuale posizionamento di una torre, o luogo d'avvistamento e controllo.
Dagli amici d'Allegrezze, Alberto Menna e fratelli Armando e Carlo Fugazzi, era stato accompagnato sul sito del Castelluzzo, presso Caselle, della cui esistenza venne a conoscenza anni prima grazie a Roberto Focacci, un'appassionato di cose antiche, la cui vivida intelligenza strideva con gli abiti spesso dimessi indossati dall'uomo.
Avrebbe imparato, in seguito, che, la conoscenza e la sapienza, spesso non vanno d'accordo con colletti troppo inamidati.
Sulla sommità del monte detto Castelluzzo vi sono i ruderi di una torre, forse a pianta quadrata, di notevole valenza architettonica, che è in vista del Castello di Santo Stefano d'Aveto e con la torre, detta del Castelà, presso Campomenoso, quest'ultima posta s'una collinetta nei pressi del rio Molini, come più tardi avrebbe verificato.
Dal Castelluzzo probabilmente si controllava anche buona parte del comprensorio di Rezzoaglio e di quello del Castellomà, altra zona d'interesse, verso Amborzasco, ciò lo s'indovina essendo attualmente il luogo invaso dalla vegetazione.
Per avere delle conferme con l'amico Guido Ferretti si era recato, alla fine dell'ottobre 2000, in Archivio di Stato a Parma.
Guido cercava certi "Banditi" Ferretti di Casoni di Fontanigorda, e analizzava filze del Criminale.
Sandro sperava di trovare documenti sul castello di Rezzoaglio e, ritenendolo antico, si era indirizzato sulle filze della Famiglia Malaspina, feudatari che in Aveto avevano agito per lungo tempo...
Per chiarezza d'esposizione e per dar merito a coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo sogno ritorniamo ora un attimo indietro.

Ai primi del 2000, incontrai a San Salvatore di Cogorno fra gli altri, Daniele Calcagno e Marina Cavana.
Ero lì con l'incarico di rappresentante per la cultura dei Comuni di Santo Stefano d'Aveto e Rezzoaglio, nel costituendo comitato dei Comuni dei Fieschi.
A Daniele feci omaggio del mio opuscolo Banditi di Val d'Aveto e loro rapporti con la Serenissima Repubblica Genovese.
Lo incontrai nuovamente in Galleria Mazzini, a Genova, in occasione della Pasqua 2000, e Daniele mi accennò che, forse, lo avrebbe pubblicato.
Verso novembre dello stesso anno andai alla Libreria di Via Garibaldi 12, dei Signori Bruno e Gian Maria Varese, nella speranza di incontrarlo e parlargli della scoperta del castello di Rezzoaglio.
Portai con me copia de U Calendaiu, ossia il calendario per l'anno 2001, edito nel novembre 2000 col contributo della Pro Loco di Rezzoaglio, ed impaginato dal sottoscritto, con l'ausilio di Graziella Mazza, e rilettura grafica di Paolo Giovagnoli.
Il calendario fu il tentativo di usare un mezzo semplice per far passare un messaggio difficile, ossia la salvaguardia del nostro patrimonio storico culturale, tramite foto d'epoca e racconti brevi permeati di fatti che si perdevano nella leggenda, corredato da ricette, filastrocche e proverbi della nostra terra.
Convinsi Daniele e Marina della bontà del ritrovamento tant'è che la settimana dopo con l'archeologo Fabrizio Benente, facemmo un'indagine sul campo.
Si decise da allora di affrontare un programma d'indagine organica sugli insediamenti medievali, e non, in Val d'Aveto, ma come si sa, non tutto è così facile...
Intanto il mio opuscolo sui banditi che distribuivo a conoscenti interessati alla cultura, stampandolo in proprio, pur suscitando interesse, compresa una recensione sul mensile: il Golfo, Monti e Valli, nell'aprile del 2000, non vedeva la luce.
Uscì, in versione ridotta, grazie all'amico Lino Maggi, sul periodico La Voce dell'Aveto, come inserto interno, nell'ottobre del 2000.
Fra novembre e dicembre 2000 fui sul territorio con l'amico G. Franco Badaracco, cittadino francese, abitante nel circondario di Parigi, ma originario di Recco, innamorato della Valle dell'Aveto, dalla quale pensava provenissero i suoi antenati.
Grazie a lui imparai molto sui romani, e sulla loro capacità di costruire e sfruttare strade, con pendenze elevate, sui colli francesi o spagnoli, su alcune tecniche di costruzione dei bizantini e su usi e consuetudini medievali, specie sugli insediamenti.   (... continua)

 

Cosa è la Storia? La mia attività: 2001 - 2003

 

Note

(1)
Massimo Brizzolara, La Val d'Aveto - frammenti di storia dal Medioevo al XVIII secolo, Premio "Yvon Palazzolo" 1998

(2)
Giuseppe Fontana, "Rezzoaglio e Val d'Aveto. Cenni storici ed episodi", Rapallo 1940

(3)
Osvaldo Garbarino, "Monaci, milites e coloni", Genova 2000

(4)
Fra le manifestazioni cito:
"Matteo Vinzoni Cartografo", mostra itinerante inaugurata nell'estate 1997 presso la sala capitolare del Convento Agostiniano di S. M. di Montebruno e transitata per i comuni di Bonassola, Deiva, Framura, Moneglia, ospitata il 1°maggio 1999 a Davagna;
"Pier Maria Canevari" mostra albergata il 1° maggio del 1999 al Santuario di N. S. della Vittoria presso la Scoffera:
"Sophie Blanchard", mostra svoltasi a Montebruno l'undici luglio 1999 (prima edizione luglio 1998) in contemporanea con quella su "La Zecca di Montebruno";
"Matteo Vinzoni. Un cartografo del '700 per il 2000", mostra che si svolse nel gennaio 2000 (nel comune di Busalla e poi nel comune di Casella) ed alla quale cui partecipai, grazie a Gianni, con due quadri espositivi riguardanti la Val d'Aveto;
"Santa Rosalia. Una Devozione venuta dal mare ", mostra tenutasi nel settembre del 2000 a Quiliano (Savona)

(5)
Miracolo d'Allegrezze: apparizione della Madonna ad una fanciulla di La Villa, frazione del Comune di Santo Stefano d'Aveto.



Pagina pubblicata il 10 settembre 2004, letta 10620 volte dal 23 gennaio 2006
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