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Banditi, mulattieri e archibuggiate nell'anno 1685

Trascrizione di un documento tratto dalle filze criminali del Castello di Torriglia

di Sandro Sbarbaro
di Sandro Sbarbaro, trascrizione a cura di Mauro Casale
fotografia di Danilo Zagliani

Questa trascrizione di un documento tratto dalle Filze Criminali del Castello di Torriglia venne inviata il 20 ottobre 1999 dall'amico Mauro Casale all'amico Giovanni Ferrero perché me la consegnasse.
Conobbi Mauro Casale e Guido Ferretti a Montebruno nel luglio di quell'anno grazie a Giovanni Ferrero, conosciuto a giugno grazie ad Agostino Vinzoni.
E visto che parlavamo un linguaggio comune - la valorizzazione dei nostri monti - entrammo in simpatia promettendo di scambiarci esperienze e materiale.

Recentemente ho rispolverato la trascrizione ed ho chiesto a Mauro, incontrato nella sede dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri  link esterno , il permesso a pubblicarla sul sito Valdaveto.net.
Avutane l'autorizzazione la pubblico integralmente con alcune aggiunte fra parentesi (in modo da renderla facilmente comprensibile anche a chi fosse profano) e con alcune note al testo per inquadrare meglio l'intera vicenda.

Uno scorcio di Villa Sbarbari (fotografia di Danilo Zagliani)

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Il testo si riferisce ad un fatto accaduto nel maggio 1685.
Racconta un tentativo di furto effettuato da alcuni banditi in una località presso Barbagelata a danno di mulattieri e il successivo arresto di due di loro presso Casa degli Sbarbori (Villa Sbarbari) in Val d'Aveto.
I mulattieri, originari della Val Trebbia (Montebruno e Costafinale), con altri mulattieri piacentini stavano ritornando dal mercato del grano di Monleone in Fontanabuona.
I ladri arrestati vennero portati dagli abitanti di Sbarbari al castello di Santo Stefano d'Aveto secondo la prassi.
La situazione non differisce molto da quelle solitamente descritte nei film che illustrano il west statunitense del XIX secolo. I cittadini dei villaggi posti sui confini del marchesato di Santo Stefano d'Aveto, o di quello di Torriglia, erano anche guardie di frontiera: praticavano la giustizia in prima persona arrestando personalmente i banditi e consegnandoli allo sceriffo, al bargello, che li rinchiudeva nelle segrete dei castelli della giurisdizione di appartenenza [1].

Ecco la trascrizione del documento.

 



1685, 25 maggio
Nel Castello di Torriglia alla presenza del Commissario Carlo Silva

 

"Essendo ieri sera stato assaltato sul Monte di Barbazelata in luogo detto Fò freddo Giurisdizione di Neirone Ambrosio Crovo Lorenzo della Villa di Montebruno con altri tre mulatieri in tempo che ritornassero (mentre ritornavano) dal Mercato di Molione (Monleone), dove erano andati a vendere il loro grano, dalli ladri; essendo detto Ambrosio armato di schioppo si pose su la difesa e seguirono (vennero sparate) tra lui, Giulio Barbero (Barbieri) Gio, et Andrea Garbarino appellato il Gattone di Costafinata (Costafinale) da una parte e detti ladri dall'altra, alcune archibuggiate, doppo che essendo arrivati in aiutto dei suddetti, Stefano Garbarino di Domenico, Nicola Garbarino d'Andrea, Agostino Crovo, fratto (fratello) di detto Ambrosio, e Stefano Barbero qm. Giulino ed altri, seguitarono (seguirono) detti ladri che si posero in fuga e li riuscì (si riuscì a) prenderne due in Val d'Aveto sopra la Casa de Sbarbori, Giurisdizione di S. Stefano, uno è Tognino Garaventa della Villa di Caorsi, condannato cinque giorni sono in questa Giurisdizione a cinque anni d'essilio (esilio) e l'altro è pure della villa di Caorsi".



 

Stefano Garbarino del Ravinello stava lavorando a fare "delli ronchi nel Ravinello" quando venne chiamato dal Crovo e dal Barbero per andare a fermare i ladri; prese lo schioppo e, con il cugino Nicola Garbarino d'Andrea, li seguì su verso il monte; quando furono sulla Piana delle Portigliole (giurisdizione di Neirone) incontrarono Benedettino Fossa (figlio di Michele della Scoffera), solo ed armato di schioppo...

 



"e sentij che chiamava i cani, avvicinandosi al posto si divisemo (dividemmo) in due squadre, io e Nicola per la costa, Benedetto, Crovo e Barbero per la strada e si congiungemmo dove erano state sparate quattro o cinque archibugiate, si trovassimo (ci trovammo) incirca dai Mulattieri, cioè Ambrosio Crovo di Giò, Gio Barbero figlio di Gio, Giulio Barbero ed Andrea Garbarino appellato il Gattone di Costafinata, che s'erano tirati (sparati) con li ladri è vero che quando arrivai i ladri non c'erano più.

Fu ferito qualchuno??

Restò ferito il sudetto Benedetino Fossa che arrivò con i compagni sudetti, ma i mulatieri dubitando che fossero anche loro ladri, sparorno (spararono) anche contro di loro, (fu ferito da una palla nella gola e due nella gamba).

Ci fermammo ivi un pezzetto, supponendo che i ladri fossero fuggiti, ma poi fatte parole fra noi, calassimo (calammo) per il fossato dove viddi il cane di Benedettino, dove potevamo dubitare fossero andati i ladri i quali però io non potei mai vedere, sentivo bensì che i compagni dicevano sono qui, sono là, sentendo di quanto in quanto tirare qualche archibuggiata, in questa maniera li seguitamo (seguimmo) giù fino in Val d'Aveto, Dominio di S. E. sopra la Casa de Sbarbori, dove furono fermati due e gli altri fugirono a la macchia".



 

Altra testimonianza di Nicola Garbarino.

 



"Dato di mano alle nostre armi s'incaminassimo (c'incamminammo) verso detto Monte di Barbazelata, quando avessimo passato (passammo) il posto della Casa bruggiata [2], trovassimo due spalaroli (portatori di carichi) genovesi e da questi prendessimo lingua (ci informammo), e ci dissero che c'erano i ladri in due squadre una cioè dalle Portigliole e l'altra a Fò freddo e poi seguendo il viaggio verso le Portigliole vi trovassimo Benedetto Fossa della Scoffera, figlio del figlio del Minuto che chiamava i cani da caccia [3], quando s'incontrassimo (c'incontrammo) disse anche lui che v'erano i ladri e che dovessimo haversi l'occhio (stessimo all'occhio) perché era pericoloso, soggiungendo che egli era con altri sei o sette compagni, i quali viddi ma non conobbi, Gappea di Roccatagliata, e un altro di Rozzi (Rossi) che non conosco, giunti che fossimo alle strade borche (strade che si biforcano, località presso Barbagelata), vi trovassimo Agostino Moglie (Moglia), Pasquino Barbero (Barbieri) di Montebruno, un tal Perinello di Mencaldo et altri mulatieri Piacentini...

Non so fossero quattro o cinque (i banditi) se bene Perino d'Otone in detta sera mi disse ch'erano cinque
[...] dicessimo (chiedemmo) ad un pastore qual'io non conobbi se gli aveva veduti e ci rispose di si che andavano verso Val d'Aveto e noialtri tralasciando di ricercare più minutamente fra li costi (arbusti) s'avanzassimo in quella volta (avanzammo da quella parte) sparando delle archibuggiate
[...] giunti li ladri sopra la casa degli Sbarbori, Dominio di S. E. Prencipe Doria nostro P[atro]ne, furono fermati dalli huomini di detta villa [4] .
Arrivati noi facemmo istanza che li custodissero bene e che li consegnassero alla giustizia, come credo l'haveranno fatto, perché subito li disarmarono.
Hebbero sempre buone parole [i banditi], e ci pregavano di lasciarli andare perché loro erano a fare serviggio e non c'entravano niente e parole simili.

Si che conobbi che erano due di detti quattro ladri che assaltarono i mulatieri in detto luogo di Fò freddo, e io viddi che il più grasso di loro sparò un'archibuggiata a detto Andrea Garbarino".



 

La denuncia di Ambrosio Crovo.

 



"[...] fui assaltato da quattro ladri, tre de quali erano momati (mascherati), et uno con la faccia aperta (scoperta), tinta però di negro, come di carbone, che fu anche il primo che m'assalì e doppo avermi più volte detto con il schioppo a cane calato, tanto lui come gli altri che mi avevano preso in mezzo, che mi fermassi e che rimettessi (riponessi) lo schioppo di cui ero armato per volermi rubbare, non volendo io rimetterlo, stando anzi sempre provisto (all'erta) per difendermi, e vedendo che sempre più mi incalzavano la vita, fui forzato (fuggii) perché non m'afferrassero, e non m'impedissero d'avvalermi dello schioppo, nel medesimo tempo, spararono detti ladri tre archibuggiate contro di me dalle quali non restai con l'agiutto di Dio offeso, benché mi trovassi gran paura et avendo sentito dire che costoro cioè detti ladri siano della Villa di Caorsi e che anzi fossero cinque bench'io non ne vedessi che quattro, due dei quali sono di presente priggioni (prigionieri) nel castello di S. Stefano d'Aveto, faccio instanza che sii contro di loro proceduto".
[...] Mulatieri: Perrino Castelli di Otone, Gioacchino Barchi il Boellino di Ottone, Bartolomeo di Traschio di cui non so il cognome, Petrino Mulione di Villa Lenzino, e molt'altri mulattieri forastieri..."



 

Gioacchino Barchi dice: "Andai quel giorno al mercato di Molione con le mie mule cariche di grano, lo vendetti al Ponte di Cicagna e lo stesso giorno me ne tornai a casa".

 

 

Note

[1] Occorre ricordare che sotto i Doria venne organizzata una milizia. I paesi facenti parte di uno dei quattro quartieri in cui era suddiviso lo Stato, ovvero il Marchesato di Santo Stefano d'Aveto, esprimevano i caporali, il sergente, il capitano ed un alfiere. Costoro comandavano la milizia formata dai giovani dei vari Quartieri.
Il Capitano, a fine '600, in genere era espresso da un membro dei nobili Della Cella di Rezzoaglio. Nel 1690 il Capitano era Carlo Geronimo Cella del fu Signor Tomaso di Rezzoaglio. Il quarto quartiere ossia quello composto dalle ville sopra il Masapello, che comprendeva le Parrocchie di Cabanne e Priosa, esprimeva il Sergente e a volte l'alfiere, attraverso il ramo non nobile dei Cella di Cabanne, e i caporali.
In quegli anni il Sergente era Guerra Cella, del fu Guerra, di Cabanne.
Nel '700 diventerà capitano il nobile Paolo della Cella, fu Notaio Antonio Maria, di Cabanne.
Da documenti del Notaro Nicolò Repetto fu Andrea abbiamo rilevato che nel 1691 fu Caporale del quarto Quartiere Alessandro Sbarbaro fu Stefano di Villa Sbarbari, morto a 60 anni nel 1698.
Fu Caporale pure Bartolomeo Biggio fu Giacomo di Cardenosa, nato nel 1638 e morto nel 1694, ed anche suo figlio Domenico Biggio eletto Caporale nel 1705.
Il Marchesato di Santo Stefano all'epoca si reggeva su un sistema che, dati i tempi, chiameremmo democratico. Il marchesato era suddiviso in quattro quartieri, in modo che fossero rappresentate le esigenze dei valligiani per aggregazione di esperienze similari.
V'erano i quartieri del Nord della Valle, del Centro e del Sud. Tal sistema si chiamerebbe oggidì devolution.
I quattro quartieri avevano un Deputato che li rappresentava e aveva una funzione simile, schematizzando alquanto, all'attuale Segretario Comunale. Nel 1692, per il secondo Quartiere, venne eletto deputato il Notaro Nicolò Repetto fu Andrea di Calzagatta. Ogni quartiere aveva i suoi reggenti, equiparabili agli attuali consiglieri comunali. Per le ville poste sopra il Masappello, ovvero in rappresentanza del quarto Quartiere nel 1692 sono reggenti Tomaso (Mascino) Ferretti di Brugnoni e Gio Biggio fu Giacomo di Cardenosa, Lazaro Cella e Domenico Cella. Questi ultimi del comprensorio di Cabanne-Parazzuolo.

[2] La Casa bruggiata di cui parla non è quella assai famosa presso il Rio dei Colleretti e il Fossato d'Acquapendente, posta in Val d'Aveto, citata e riprodotta da Matteo Vinzoni nel 1725.
Questa si trovava sull'attuale rettilineo che da Barbagelata conduce al passo della Larnaia (cfr.: Andrea M. Cavagnaro, Barbagelata il tetto della Liguria. Il racconto appassionato e lucido della civiltà contadina dei nostri monti, Il Golfo, Genova 2005, pag. 102)

[3] Pare strano ma anche allora s'andava a caccia. Ovviamente coloro che vi andavano facevano parte di una elite autorizzata dal feudatario del luogo (vedi il caso dei Guano di Torriglia) oppure erano bracconieri.
Cfr. Mauro Casale, La Magnifica Comunità di Torriglia & C., Genova 1985, pag. 122:

F.C.C. 1621 - Caccia alli uccelli con li cappelletti di verghe di nocciole
Novembre 1656 - "...Hieri mattina Vincenzo Guano e Bartolomeo ambidue armati di archibugio si passassimo di qui per andare a caccia di lepri con due cani bracchi e gionti presso la Costa di Trebiola..."
F.C.C. 3/5/1678 - "il Capitano Vittorio Guano levatosi alle sei hore per andare a caccia alli uccelli"

[4] All'epoca a Villa Casa degli Sbarbori, come si chiamava allora l'attuale paese di Sbarbari in Val d'Aveto vi erano all'incirca i seguenti uomini validi:

Bartolomeo Sbarbaro fu Vincenzo, nato nel 1642 morrà nel 1694, e suo fratello Mastro Stefano Sbarbaro fu Vincenzo, che morrà nel 1709;
Giuliano Sbarbaro fu Lazarino, che morrà nel 1719, e suo fratello Bernardo fu Lazarino, detto Mastro Bernardino, che si sposerà nel 1691 con Benedetta Sbarboro di Bartolomeo fu Vincenzo;
il vecchio Nicolino Sbarbaro fu Giò, nato nel 1618 morra nel 1694, e suo fratello Gio Maria fu Giò, che nato nel 1624 morrà nel 1698;
Gio Maria Sbarboro fu Antonio, nato nel 1629 morrà nel 1699, suo fratello G. B. Sbarboro fu Antonio, nato nel 1635 morrà nel 1695 e l'altro fratello Alessandro Sbarbaro fu Antonio nato nel 1639 morrà nel 1699; l'altro fratello, Stefano Sbarboro fu Antonio, nel 1686 si trova emigrato a Talioli Status Mediolani, ma è probabile che lo fosse da prima;
Alessandro Sbarbaro fu Stefano nato nel 1638 morrà nel 1698;
Agostino Sbarboro fu G. B. e suo fratello Michele Sbarbaro fu G. B. probabilmente vivevano già a Genova dove Agostino risiedeva dal 1680.

 


 

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Pagina pubblicata il 19 marzo 2007, letta 8451 volte
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