Valdaveto.net > Personaggi > Berto Giuffra: un innamorato delle montagne
di Piero Campomenosi
articolo inviato dall'autore e già apparso sul settimanale La Trebbia del 30 agosto 2007
La mostra fotografica inaugurata lo
scorso 21 luglio a Santo Stefano nel ricordo di Adalberto Giuffra, che noi tutti santostefanini chiamavamo familiarmente Berto
, mi ha
fatto rivivere emozioni e riscoprire immagini di un mondo, che ci
siamo lasciati alle spalle, un mondo, che solo lui ha saputo almeno
in parte in restituirci.
La mostra, allestita presso la palestra
della Scuola Media, è stata voluta e organizzata dal sindaco Cristoforo Campomenosi e dall'assessore alla cultura Sergio
Campomenosi, che si è avvalso del preziosa collaborazione di Carlo A. Gemignani.
È nato pure un libro, scritto e illustrato
per l'occasione, che ne rappresenta una importante testimonianza.
Erano presenti alla cerimonia varie autorità, oltre ai quattro
figli Luciano, Sergio, Mario e Rosanna, nonché alla figlia
adottiva Stefania.
Se è vero, come scriveva
Dostoevskij, che "l'artista è colui che riesce a fermare
il tempo", nessuno, come per il nostro fotografo per antonomasia,
ha fatto proprio un tale aforisma.
Sì, perché Berto
(che ricordo anche barbiere e guida turistica), aveva capito, lui
come i poeti, che non occorre altro che saper guardare ogni giorno
con occhi sempre nuovi un mondo sempre diverso e sorprendente per
aprirsi subito al sorriso.
Se poi, a farci perdere la testa sono le
nostre montagne, quelle che conosciamo a menadito, che abbiamo
risalito infinite volte, quelle che ci troviamo di fronte, aprendo la
mattina la finestra della nostra camera da letto, penso che ogni
altro peccato di omissione ci venga sicuramente perdonato.
Berto era
infatti prima di tutto un uomo di montagna: il Maggiorasca, il Groppo
Rosso e il Monte Penna facevano parte della sua stessa persona, della
sua stessa vita, come un cibo che si assapora ogni giorno, e delle
nostre montagne amava soprattutto i momenti dell'aurora e del
tramonto o una fresca nevicata fra quelli particolari, in cui esse
sanno svelare la propria anima.
Berto, inoltre, non era un fotografo,
come si suol dire, per tutte le occasioni, ma uno che sapeva esserci
quando doveva esserci. Non gli interessava fotografare un ritrovo di
villeggianti o le majorettes di turno.
A lui premeva cogliere
l'attimo fuggente, come il momento dell'elevazione in una messa
sul Maggiorasca, officiata da Don Celestini, o la processione di San
Rocco in un rigido pomeriggio invernale o il figlio Sergio di due
anni che gioca con la radio o la moglie Emilia, sorridente in mezzo
alla famiglia, durante la colazione sull'erba sulle verdi distese
del Monte Penice (una tra le sue vette preferite): momenti unici,
irripetibili, immortalati da lui, come se sapesse che la vita è
come un grande prato, dove solo i fiori più belli, che
sbocciano qua e là, meritano di venire colti e fermati
dall'obiettivo.
Ciò che mi preme soprattutto
sottolineare, tuttavia, è l'aspetto culturale che le foto di
Berto fanno emergere: una bica o un burieû, un attrezzo
agricolo ormai in disuso, un logoro borsone di pelle del portalettere
sono soggetti e oggetti insieme che ci parlano di momenti lontani, ma
che fanno parte del nostro presente, come i nostri cari che abbiamo
perduto, ma che ancora respirano con noi.
Gli aspetti più significativi della cultura contadina rappresentano quindi una delle
più importanti testimonianze del passato, che Berto, con la
generosità che lo ha sempre distinto, ci ha regalato.
"Beato l'uomo che ha in Te la sua
forza e nel cuore le Tue ascensioni" recita il salmo 83. Ed è
proprio questa fede in Dio e nell'espressione più alta della
divinità, che sono le montagne, che ha rispecchiato la vita di
Berto.
A lui il nostro plauso e la nostra riconoscenza.
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Pagina pubblicata il 19 settembre 2007, letta 5219 volte
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