Viaggio nel nostro dialetto: spernissâ e nissâ

di Piero Campomenosi
articolo giŕ pubblicato su L'eco del Maggiorasca

Il dialetto della nostra Valle non solo č ricchissimo di voci idiomatiche e, per cosě dire, autoctone, ma si rivela anche, a volte, una chiave di lettura per conoscere l'etimo di parole proprie di ampie aree geografiche. Si pensi alle origini e alla diffusione dei verbi spregnaccâ e strafügnâ.
Ugualmente interessanti sono i verbi spernissâ e nissâ, che tuttavia non sono derivati dalle lingue germaniche, bensě dal latino.

Il verbo spernissâ trae origine direttamente dal latino medioevale pernicari (da pernicies, danno, da cui l'italiano pernicioso) che significa portare danno [1].
Di qui pernicciâ > pernissâ > spernissâ.
La voce del latino medioevale pernicari aveva originariamente una valenza semantica piů ampia poichč voleva dire portare danno in generale; col passaggio al volgare si č ridotta al corrispondente di un semplice pizzicare.
Spernissâ significa quindi, nel dialetto avetano, semplicemente pizzicare.

Nel nostro vocabolario troviamo, inoltre, nissu, che, attraverso mutamenti della sillaba finale, con la frequente caduta della vocale postonica (niz, nis, niss, ecc...) č presente anche in vari vernacoli dell'Italia settentrionale.
Il genovese ha nisso mentre nel territorio di Lucca si dice tuttora nizzo.
Significa propriamente ammaccato internamente e, con questa accezione, appare giŕ nella lingua trecentesca dell'Anonimo Genovese (XVI,132), che scrive nicio.
Nisso o, come si dice in vari dialetti di ceppo ligure, nissu, non č altro che una metatesi di inso, participio passato dal verbo genovese insâ, derivato dal verbo latino initiare [2].
Da nissu ha origine il verbo nissâ (ammaccare) e, con lo stesso significato, anisâ, dove č presente la prostesi di a.
La frutta si dice quindi nissa quando č "iniziata", vale dire flaccida internamente e prossima a marcire.
I pei nissi e i pummi nissi, che tuttavia gustavamo un tempom, quando ogni cibo era prezioso per l'uomo, asportandone la parte ammaccata, rischiano di diventare solo un ricordo del passato dal momento che ai nostri giorni l'inquinamento trasforma direttamente la frutta da sana in marcia.
Il che č tutta un'altra cosa...
C'č ancora un vocabolo in uso nel nostro dialetto, caganissa, il frutto della cosiddetta razza (rovo) [3], cioč la bacca di rosa canina, chiamata in Val Graveglia cagapuli [4], il quale, probabilmente, non č affatto parente di nissu con la accezione che abbiamo studiato.
Si tratta comunque solo di una congettura.
In questo caso nissa deriverebbe da nisöa, nocciola, dal latino medioevale nuceola, da cui niceola, nizola, nisöra e, infine, nisöa (genovese) e nizö (Lunigiana).
Si deve pensare ad uno spostamento d'accento e ad una contrazione da caganissöa a caganěssa.
Le bacche di rosa sono infatti note per la presenza al loro interno di noccioline, cioč di semi duri e inassimilabili dall'intestino.

 

Proverbi dialettali

"In pummu marsu u in guasta çentu" (una mela marcia ne guasta cento)

 

 

Note

[1] Cfr. Du Cange, Glossarium mediae et infimae latinitatis, vol. VI, pag. 278

[2] Si veda H. Plomteux, I dialetti della Liguria Orientale Odierna. La Val Graveglia, Pŕtron, Bologna, 1975, pag. 708
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[3] Dal latino radia "razza, pesce spinoso" > "pianta spinosa", cfr. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Einaudi, Torino, 1966, § 220

[4] Cfr. H. Plomteux, I dialetti della Liguria Orientale Odierna. La Val Graveglia, Pŕtron, Bologna, 1975, pag. 471

 


 

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Pagina pubblicata il 29 marzo 2007 (ultima modifica: 25.08.2007), letta 5320 volte
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