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di Sandro Sbarbaro
(English version of the following article: Short stories about emigrants)
" I Mericani "
Intorno al 1870 si verificarono i primi flussi migratori dei nostri valligiani verso le Americhe.
Gli emigranti, spesso alla ricerca di un illusorio benessere, si dedicarono ad ogni sorta di lavoro con la tenacia propria delle nostre genti.
Emigranti di Vico Soprano in America
Alcuni fecero fortuna impiantando attività che permisero loro di emergere e potersi così fregiare del titolo di 'Mericani' (americani) che, per coloro che erano rimasti in terra d'Aveto, era sintomo di ricchezza.
Altri fallirono e mestamente tornarono in paese a raccontar la loro America.
Il ritorno del Mulitta
Mulitta (l'arrotino), forse tal Sbarbaro Agostino fu Bartolomeo, era tornato dall'America.
Tutto il paese di Villa Sbarbari s'era radunato nell'attesa del paesano partito un giorno per la Merica.
Mulitta giunse alfine in vista delle case, di là dell'acqua d'Aveto...
Estrasse dalla tasca del giacchè (giacca) un pezzo di pane secco, lo bagnò nell'acqua del fiume e lo portò, con gesto lento, alla bocca.
Un rito ancestrale suggellava il suo ritorno.
Poi andò incontro ai paesani.
Mulittà soleva ripetere a coloro che gli chiedevano affascinati notizie sull'America: "Và ciù a mè banca, che quanta America gh'è!", ossia "Vale più la mia panca, che quant'America c'è!".
Lui, il vinto, dell'America n'aveva avuto abbastanza.
I ritmi di quel mondo così distante dal mondo contadino, lo avevano alfine costretto alla resa.
Amava la sua panca, ove nei tempi morti fra una faccenda e l'altra i contadini d'Aveto solevano fare una pennichella.
Si racconta che i soldi che la moglie, rimasta in America, gli inviava perchè facesse sopra alzare la casa di un piano - il sogno di tutti gli emigranti - finissero in altrettanti fiaschi di vino.
Mulitta si beveva l'America.
Avetani laboriosi
Si racconta che molti avetani affrontarono l'America con un piglio che li rendeva invisi alle persone 'di colore'.
Per paura di perdere il lavoro, gli emigranti avetani lavoravano instancabilmente, ad un ritmo che a quel tempo (ossia alla fine dell'ottocento) solo gli emigranti cinesi riuscivano a mantenere.
Così i 'neri' cercavano di spiegare loro a gesti (i nostri valligiani conoscevano solo la parlata avetana) che ogni tanto era il caso di riposarsi per non compromettere le poche conquiste sindacali che all'epoca si iniziava ad ottenere.
Bar a Chicago
Ricordava u Luigin di Zerghe, ossia Luigi Sbarbaro d'Andrea della famiglia degli Stecche: "Semmu annèe in ta bara du Dullu. Gh'era de facce scassè, che zugavan a carte cun i curtelli ciantài sutta a tora", ovvero "Siamo andati nel Bar di Dull. C'erano delle facce da delinquenti, che giocavano a carte con i coltelli piantati sotto la tavola".
Luigin aveva vissuto, con il padre, a Chicago: qui il genitore aveva una barca che, muovendosi su e giù per il lago, fungeva da rivendita di frutta e verdura.
La Texiu, ossia Teresa Repetti di Giovanni di Codorso (classe 1886), che col padre e la matrigna era emigrata in America, raccontava che per sbarcare il lunario si appostava con i genitori agli angoli delle strade di New York e, con l'ausilio di un organetto ed una scimmietta, chiedeva l'elemosina.
Un giorno, mentre stava dormendo, giunsero alcuni malviventi che volevano rapinare la famigliola del magro incasso della giornata.
Grazie agli strepitii ed alle urla della scimmietta, i ladri furono costretti alfine alla fuga.
Il dollaro d'oro
Repetto Agostino fu Agostino, detto Barbottu, nato a Codorso nel 1833, era emigrato in America con la moglie Garbarino Maria detta Marustin-a verso i primi del novecento.
N'era tornato con un discreto gruzzolo di dollari.
Un dì si era recato a Montebruno per affari.
Giunto in paese, dopo aver sbrigato alcune faccende, si diresse verso l'emporio del Pedone.
Comprò alcuni generi di conforto.
Giunto il momento di pagare estrasse dal panciotto alcuni dollari in oro.
Gettandoli con neocuranza sul banco disse al Pedone: "Te n'è mai ustu de chésti'?", ossia "Ne hai mai visto di questi?"
Il Pedone si diresse nel retrobottega e comparve con una fasciella (contenitore per forme di formaggio) colma di dollari in oro, e rispose: "T'oressci dì de chésti!", ossia "Vorresti dire di questi!"
Il Pedone faceva prestiti e dava la merce a crèenza (a credito) ai contadini del circondario, rastrellando così i dollari in oro che questi ultimi avevano faticosamente guadagnato col loro lavoro d'emigranti in America.
L'eredità americana
Si racconta che Repetto Paolo Alessandro d'Antonio, nato nel 1865 circa ed originario di Cascine frazione di Priosa d'Aveto (comune facente parte, a quel tempo, del territorio di Santo Stefano d'Aveto), partì un giorno per l'America.
Grazie alla sua intraprendenza impiantò un ranch ove allevava pecore.
In breve fece fortuna.
Scomparve però prematuramente, così al fratello arrivò un giorno una lettera di un avvocato che lo invitava a recarsi in America per ricevere l'eredità.
I rancheros s'opposero alle volontà del fratello di vendere il ranch e tutta la fortuna accumulata da Paolo Alessandro.
Il fratello, però, che desiderava tornare al paese in Italia, fu irremovibile.
Rischiò così il pestaggio.
Memore della brutta avventura, decise di non rischiare nuovamente la vita.
Così imbarcatosi per il ritorno, gettò i dollari dell'eredità in fondo ad un sacco da viaggio da emigranti.
Per sviare i sospetti dormiva sul ponte con chi, sconfitto, faceva il viaggio di ritorno.
Naturalmente usava il sacco quale cuscino, in modo da esser certo che fosse sempre a portata di mano.
Così, grazie all'astuzia tipicamente contadina, tornò a casa, alle Cascine, sano, salvo e ricco.
Quando furono in mezzo al mare, bastimento si sprofondò
Rosa Sbarbaro fu Antonio,
nata a Villa Sbarbari nel 1844, sposa d'Antonio Sbarbaro di Gio Maria detto Tugnollu, si era recata col marito in America:
qui era morto il primogenito Gio Maria (nato nel 1866) e nel maggio del 1873 a Saint Luois nel Missouri era nato il secondogenito Giovanni.
In seguito Rosa e la propria famiglia tornarono in Val d'Aveto, ove nacquero Catterina Emilia ed infine Agostino.
Volitiva come le donne di Val d'Aveto e del nostro Appennino sanno essere, Rosa intendeva ritornare in America per voltare pagina con una vita fatta di sacrifici.
Antonio invece, attaccato alle sue poche cose certe come gli uomini di Val d'Aveto e in genere del nostro Appennino sanno essere, voleva rimanere al paese di Sbarbari: umiliazioni, in America, n'aveva subite abbastanza.
Alla fine Rosa s'impose al marito: nel 1878 si recò a Genova col figlioletto Agostino (che aveva poco più di nove mesi) e si imbarcò per l'America.
Si racconta che prima dell'imbarco il piccolo Agostino Sbarbaro piangesse disperatamente.
I valligiani, con la superstizione tipica dei montanari, ritennero quel pianto un presentimento del naufragio imminente della nave sulla quale madre e figlio si stavano imbarcando.
Quando furono in mezzo al mare, bastimento si sprofondò.
Caìn e il boss
Repetti Agostino d'Antonio nato a Cardenosa nell'anno 1864 circa, possedeva due soprannomi: era detto "u Stìn" ma, a causa dei suoi modi particolarmente maneschi, era meglio conosciuto come "u Caìn".
Il carattere litigioso apparteneva anche a molti altri paesani della parrocchia di Priosa d'Aveto ai quali, si diceva, "a ghe piascèia ciù rutta che intrega", ossia "[una cosa] gli piaceva più rotta che intera".
L'esibire la forza fisica era per loro motivo d'orgoglio e per gli altri un motivo per starsene cheti... e forse ammirati.
Le scazzottature si svolgevano soprattutto durante le feste dei santi patroni.
Si sa come vanno le cose: dopo qualche bicchiere di vino inevitabilmente gli animi si scaldano... e a quel punto basta un nulla per generare una rissa!
Uno dei periodi preferiti per gli scontri programmati era la festa di San Giuseppe in Barbagelata durante la quale si scontravano, in genere, le fazioni dei Biggio di Cardenosa e le parentele della zona di Roccatagliata: rappresentazioni di forza le cui radici sono da ricercare nelle faide del XVI secolo.
Agostino, detto "u Caìn", un giorno emigrò in America.
A New York fu importunato da un piccolo boss locale al quale, durante una rissa, Agostino ruppe una gamba giusto per dimostrare che non temeva alcuno.
Fu denunciato e conseguentemente arrestato.
Mandò a dire al boss che, se non ritirava la denuncia, appena uscito gli avrebbe rotto anche l'altra gamba.
In breve venne rilasciato.
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Pagina pubblicata il 20 dicembre 2004, letta 21510 volte dal 23 gennaio 2006
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